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Ricerche scientifiche rivelano un gene che aumenta il rischio di demenza negli uomini ma non nelle donne

Uno studio australiano rivela che la variante genetica H63D raddoppia il rischio di demenza negli uomini, sollevando interrogativi sulle differenze di genere e suggerendo nuove strategie per la prevenzione.

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Ricerche scientifiche rivelano un gene che aumenta il rischio di demenza negli uomini ma non nelle donne - Movitaliasovrana.it

Un recente studio condotto da un team di scienziati australiani ha scoperto una variante genetica che può raddoppiare il rischio di demenza negli uomini. Questa variante, nota come H63D, si presenta in una persona su 36. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista ‘Neurology’, portando una nuova luce su questioni legate alla salute cerebrale e sollevando interrogativi importanti. È fondamentale comprendere le differenze di rischio tra i sessi, in particolare perché questa variante sembra colpire solo gli uomini.

Lo studio Aspree e i dati raccolti

Per arrivare a queste conclusioni, i ricercatori hanno utilizzato i dati di Aspree, un trial clinico ben strutturato che ha coinvolto una vasta coorte di 19.114 anziani provenienti da Australia e Stati Uniti. Aspree ha studiato gli effetti dell’assunzione quotidiana di aspirina a basso dosaggio, noto anche come ‘aspirinetta’. Questo studio, di tipo randomizzato e in doppio cieco, ha fornito un ricco database sull’invecchiamento e una varietà di opportunità per ulteriori ricerche.

Attraverso l’analisi dei dati, gli scienziati hanno indagato le conseguenze delle varianti del gene Hfe, responsabile della regolazione dei livelli di ferro nel corpo. Hanno cercato di scoprire se coloro che portano questa variante genetica potessero avere un rischio maggiore di sviluppare demenza, scoprendo risultati sorprendenti e significativi.

L’impatto della variante genetica H63D

John Olynyk, co-autore dello studio e membro della Curtin Medical School, ha spiegato che circa un terzo della popolazione porta almeno una copia della variante H63D, mentre una persona su 36 presenta due copie. Sebbene avere una sola copia non influisca sulla salute, il possesso di una doppia variante è stato associato a un raddoppio del rischio di demenza negli uomini. Per le donne, invece, non si è osservato lo stesso effetto. Questo aspetto solleva interrogativi su come e perché il gene possa interagire diversamente nei due sessi.

Olynyk ha aggiunto che mentre la variante genetica non può essere cambiata, comprendere il meccanismo attraverso cui essa influisce su alcune funzioni cerebrali potrebbe consentire di sviluppare trattamenti mirati. Questa ricerca è fondamentale per sviluppare strategie di prevenzione efficaci.

Test e ricerche necessarie

Il gene Hfe è comunemente testato in vari Paesi occidentali, incluso l’Australia, durante la valutazione per l’emocromatosi, una condizione grave che porta a un accumulo eccessivo di ferro. Olynyk ha suggerito che, considerati i risultati dello studio, un test mirato per gli uomini potrebbe migliorare la diagnosi precoce e la gestione del rischio di demenza.

È interessante notare che, nonostante l’importanza del gene Hfe nel controllo del ferro, i ricercatori non hanno trovato una correlazione diretta tra i livelli di ferro nel sangue e il rischio aumentato di demenza. Questo apre la porta a una serie di meccanismi complessi che possono influenzare la salute del cervello, inclusi fattori infiammatori e danni cellulari.

Prospettive future sulla demenza

Paul Lacaze, co-autore dello studio presso la Monash University, ha sottolineato l’importanza di questo lavoro per migliorare le prospettive di vita delle persone a rischio di demenza. Attualmente, oltre 400.000 australiani vivono con la demenza, un numero significativo che richiede attenzione e intervento. Comprendere le basi genetiche di questo rischio potrebbe portare a approcci più individualizzati e strategici nella prevenzione e nel trattamento della malattia.

L’acclamato studio è frutto della collaborazione tra diverse istituzioni, come Curtin University, Monash University, l’Università di Melbourne, il Royal Children’s Hospital, il Murdoch Children’s Research Institute e il Fiona Stanley Hospital. Questo sforzo congiunto dimostra come la cooperazione tra diverse aree di ricerca possa contribuire a una migliore comprensione delle malattie neurodegenerative e a un miglioramento generale della salute pubblica.