La strage di La Storta: un capitolo oscuro nella storia della liberazione di Roma
Il 4 Giugno 1944 segna la liberazione di Roma, ma anche l’eccidio di 14 prigionieri a La Storta, un tragico episodio che evidenzia le atrocità della Seconda Guerra Mondiale.

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Il 4 Giugno è una data che segna uno dei momenti più significativi della liberazione di Roma nel 1944, ma è anche legata a uno dei più tragici episodi della Seconda Guerra Mondiale. Mentre la capitale italiana festeggiava la fine dell’occupazione nazista, in un bosco a La Storta, 14 prigionieri venivano brutalmente assassinati. Questo evento resta uno dei più cupi del conflitto, ricco di nomi che meritano di essere ricordati oltre il famoso Bruno Buozzi.
Il contesto della liberazione di Roma
Il 4 Giugno 1944 è considerato ufficialmente il giorno della liberazione della capitale italiana. Sebbene la città fosse ormai avvolta da un clima di festa e speranza, il conflitto non era ancora finito. I tedeschi, in ritirata verso il Nord, si preparavano a lasciare Roma ma continuavano a combattere per mantenere il controllo sui prigionieri. Il giorno precedente, il 3 Giugno, fu caratterizzato da atti di violenza quasi inauditi, che culminarono con la strage di La Storta, dove i partigiani e altri oppositori al regime fascista furono brutalmente uccisi.
Il campo di battaglia si estendeva ben oltre il fronte visibile. I prigionieri detenuti nelle carceri romane erano consapevoli che la loro vita sarebbe potuta finire in qualsiasi momento. In via Tasso, uno dei principali centri di detenzione per oppositori del regime, si preparava un’evacuazione dissennata. I tedeschi, consapevoli dell’imminente avanzata delle forze alleate, disponevano il trasferimento dei prigionieri verso il Nord, un piano che si rivelò fatale per molti innocenti.
La macabra selezione dei prigionieri
Il processo di selezione per il trasferimento dei prigionieri fu brutale e caotico. Dal carcere di Via Tasso, i tedeschi cercarono di caricare un gruppo di detenuti su un camion, uno “Spa 38-R”, ma solo 14 di loro furono effettivamente portati via. Tra questi c’era Bruno Buozzi, ex Deputato del Partito Socialista, e altri personaggi di spicco, come il Capitano della Regia Marina, Alfeo Brandimarte. L’assenza di posto per molti altri prigionieri che avrebbero potuto unirsi a loro fu colmata dalla tempistica imprecisa e dall’inefficienza del piano tedesco, permettendo ad alcuni di salvarsi per pura fortuna.
Il camion partì verso la Via Cassia seguendo un convoglio tedesco in ritirata, mentre gli altri prigionieri rimasero in cella, ignari del destino che attendeva i loro compagni. Una volta arrivati nella località di La Storta, il camion subì un’improvvisa fermata, e i prigionieri vennero costretti a passare la notte in un fienile, ignari del fatto che l’alba avrebbe portato con sé una fine atroce.
L’ultimo viaggio e l’eccidio
La mattina seguente, i prigionieri furono condotti in fila indiana verso un bosco, dove fu compiuto un atto di violenza indescrivibile. Ventuno prigionieri, inermi e legati, furono freddati da un’unica esecuzione. Questo atto efferato venne perpetrato con la noncuranza di chi sta per compiere una delle molte stragi inutili che costellarono l’Italia durante l’occupazione tedesca.
A lungo i corpi delle vittime rimasero nascosti. Solo giorni dopo, contadini locali scoprirono i resti, dando inizio a una serie di iniziative per commemorare le vittime. La lapide commemorativa posizionata nel 1949 sul luogo dell’eccidio rappresenta un simbolo di memoria, ma rivela anche la dimenticanza di molti nomi che accanto a Buozzi meritano di essere onorati.
L’ignoto militare inglese e il lungo cammino della memoria
Uno dei misteri legati alla strage di La Storta è l’identità di un “militare sconosciuto di nazionalità inglese” ritrovato tra le vittime. Grazie a ricerche incessanti, è stato svelato che egli era il Capitano “Gabor Adler”, noto come Capitano John Armstrong, un ebreo ungherese che lavorava come agente segreto per gli alleati. Catturato dai tedeschi e rinchiuso a Via Tasso, l’Armstrong sarebbe diventato l’ultimo simbolo di quel dramma collettivo, rendendo giustizia a un capitolo spesso trascurato della Storia.
Parallelamente, il numero delle vittime che si uniscono al racconto della resistenza cresce. Oltre a Buozzi e Brandimarte, altri nomi risaltano nel ricordo: Friedrik Borian, l’avvocato Lino Eramo e 11 altri valorosi che lottarono per un’Italia migliore. Oggi diverse iniziative commemorative si svolgono nel quartiere, non solo per ricordare i caduti, ma anche per evidenziare il valore della memoria storica.
Con il passare degli anni, le commemorazioni hanno acquisito nuovi significati, testimoniando la determinazione di una comunità affinché simili atrocità non vengano dimenticate. Le 14 piccole targhe piantate in onore dei martiri sono simboli che continuano a suscitare riflessioni sulla libertà e il valore della vita umana.