Riflessioni sulla sconfitta dei referendum: L’importanza di riconnettere con le classi popolari
Il recente referendum della CGIL ha evidenziato la scarsa partecipazione elettorale e la disillusione dei cittadini, richiedendo una nuova strategia per riconquistare fiducia e coinvolgere le classi popolari.

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L’esito del recente referendum promosso dalla CGIL ha suscitato interrogativi e riflessioni. La scarsa partecipazione elettorale, unita a una certa manipolazione mediatica, ha inciso sulla riuscita di questa importante consultazione. È necessario analizzare i motivi di questa débâcle, sia in relazione al contesto politico attuale che alla realtà sociale italiana. La situazione evidenzia la necessità di una strategia efficace per riconquistare la fiducia degli elettori, particolarmente delle classi popolari.
La questione della scarsa affluenza al voto
Uno dei fattori principali che hanno influito sul risultato dei referendum è stata senza dubbio la bassa affluenza alle urne. Molti cittadini si sono sentiti disinteressati o addirittura alienati da un dibattito che è risultato poco visibile e mal gestito. Il governo, insieme a gran parte dei media, ha scelto di oscurare la questione, riducendola a un argomento marginale, lontano dalle discussioni quotidiane. La mancanza di un’informazione chiara e di un dialogo aperto ha contribuito a creare un’atmosfera di disillusione che ha allontanato gli elettori, soprattutto quelli appartenenti agli strati più popolari della società.
La waning fiducia nei confronti del voto ha portato a una sorta di disimpegno. In un clima in cui molti cittadini non si sentono rappresentati dai partiti tradizionali, il referendum ha avuto difficoltà nel farsi percepire come un’opportunità. L’assenza di discussione pubblica ha ulteriormente esacerbato la situazione, alimentando un senso di impotenza e sfiducia. Questo contesto di astensione ha reso evidente come la mancata partecipazione ai referendum non sia soltanto una questione di scelte politiche, ma un segnale di allerta sulle condizioni generali di questa fascia della popolazione.
Ma non è solo il contesto esterno a pesare su questo esito. È fondamentale connettere le ragioni della scarsa affluenza a una serie di decisioni strategiche all’interno delle forze che hanno sostenuto i referendum. La rappresentazione politicista del voto ha inevitabilmente reso difficile spostare l’attenzione dei cittadini sui reali contenuti sociali in gioco.
L’importanza di una narrazione sociale
Un errore significativo nell’ambito di queste consultazioni è stato l’approccio adottato da molti sostenitori, che hanno politicizzato il referendum trasformandolo, di fatto, in uno scontro tra schieramenti. Presentare l’iniziativa come un attacco alle forze di governo e alla destra non ha giovato. Le evidenze suggeriscono che, in un Paese in cui una parte consistente della popolazione vota a destra, questa strategia ha creato divisioni insormontabili. Tale approccio ha allontanato quegli elettori, che, pur condividendo i contenuti dei referendum, si sono sentiti esclusi da una narrazione che non li accolse.
L’opzione di enfatizzare il valore meramente sociale dei temi proposti avrebbe potuto favorire un coinvolgimento differente. Presentare i referendum come strumenti per restituire diritti alle classi lavoratrici, piuttosto che come strategie contro un avversario politico, avrebbe potuto aprire un dibattito più ampio e inclusivo, potenzialmente capace di attrarre un pubblico più vasto.
Questa deviazione dalla questione sociale ha messo in ombra le reali sfide rappresentate dai referendum. Rispondere a problemi di disoccupazione, precarietà e diritti civili non può avvenire soltanto in un contesto di scontro tra fazioni politiche, ma deve assumere una dimensione di interesse collettivo, capace di superare le divisioni tradizionali.
La necessità di costruire una nuova fiducia
In aggiunta agli aspetti politico-strategici, vi sono importanti questioni di credibilità rintracciabili all’interno delle forze che hanno sostenuto i referendum. Una delle criticità più evidenti è stata quella di rendere il legame tra il voto e le politiche liberiste più chiaro e incisivo. Soprattutto il Partito Democratico ha faticato a collocarsi come forza di cambiamento. I cittadini avevano bisogno di percepire il Sì ai referendum come un’opzione non solo per il futuro, ma come una critica alle politiche liberiste precedenti. La mancanza di un collegamento diretto tra il voto e un’autocritica delle azioni passate ha suscitato molte domande in chi si è recato al seggio, inficiando la percezione del voto stesso.
Il messaggio di una riforma sociale non poteva prescindere dall’affrontare il tema del liberismo. I “non ci sono risorse” hanno alimentato un clima di rassegnazione, che ha aperto la strada ai discorsi populisti delle destre. In un contesto di crescente impoverimento e di attacchi al welfare, è essenziale opporsi a questa narrazione che ha trovato un terreno fertile nelle classi popolari.
Infine, la questione dell’astensione è emblematico di un problema più profondo. Le esperienze passate di boicottaggio delle consultazioni referendarie, come avvenuto nel 2003 e nel 2016, hanno contribuito a buttare fango sull’immagine di una politica che appare distante e poco incisiva. Le stesse forze che oggi si trovano a criticare l’astensione, in passato hanno avvallato tali scelte, alimentando una spirale di disinteresse.
Innovare nel linguaggio politico è un passaggio obbligato per riconnettere con le classi popolari. Per efficacemente recuperare la fiducia al di là delle ideologie, è fondamentale impostare un dialogo che parta da ciò che le persone vivono quotidianamente. La legittimità di un’alternativa che superi il centro sinistra e che accolga le istanze sociali è oggi più che mai necessaria.