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La cannabis in Italia: un dibattito bloccato tra pregiudizi e opportunità

Il libro di Nadia Ferrigo esplora la stigmatizzazione della cannabis in Italia, evidenziando le contraddizioni legislative e le opportunità mancate per l’economia e la salute pubblica.

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La cannabis in Italia: un dibattito bloccato tra pregiudizi e opportunità - Movitaliasovrana.it

Il tema della cannabis in Italia è avvolto da una serie di pregiudizi che ostacolano qualsiasi discussione pragmatica basata su evidenze scientifiche e socio-economiche. Un libro della giornalista Nadia Ferrigo, dal titolo L’erba e le sue buone ragioni. Perché liberalizzare la cannabis conviene alla società, offre spunti di riflessione sui risvolti della continua stigmatizzazione della canapa. Mentre il dibattito rimane stagnante, il paese affronta problematiche significative, dall’impatto economico al sovraffollamento delle carceri, aggravato da leggi che sembrano ignorare la realtà dei fatti.

La storia della cannabis: antiche radici e moderni divieti

La canapa ha accompagnato l’umanità per millenni, utilizzata in diverse culture e per vari scopi, dall’industriale al medicinale, fino a quello ricreativo. Non molti sanno che fino a cento anni fa era possibile acquistarla in farmacia insieme a morfina e cocaina. Storia alla mano, Ferrigo illustra come la canapa sia stata impiegata in oltre 10.000 anni di utilizzo umano. Grandi esploratori, come quelli delle caravelle che raggiunsero le Americhe, utilizzavano vele e funi di canapa, così come il famoso libro di Gutemberg.

Ma perché, a un certo punto, si è deciso di metterla al bando? L’autrice riporta che le scelte culturali dell’Ottocento, caratterizzate da ansie razziali e dalla convinzione medica che la tossicodipendenza fosse una malattia, hanno contribuito alla stigmatizzazione della pianta. L’Italia ha visto un progressivo inasprimento delle leggi contro la cannabis dal 1961, con l’introduzione della Convenzione unica sugli stupefacenti, fino alla Legge Cossiga del 1975 e alla Legge Iervolino-Vassalli del 1990.

Negli anni, ci sono stati tentativi di aprire un dibattito più largo sulla legalizzazione, culminati in un referendum nel 1993 che abrogò il divieto di detenzione per uso personale, ma il tentativo di legalizzazione da parte del governo Monti nel 2012 non ha portato i risultati sperati. E mentre la lotta contro il narcotraffico continua, il proibizionismo ha portato a conseguenze rilevanti soprattutto per i più giovani, sempre più spesso coinvolti nel mercato delle sostanze.

L’attuale quadro normativo e le sue contraddizioni

Oggi l’Italia si trova di fronte a una situazione paradossale: se da un lato il consumo personale non è classificato come reato, il legislatore punisce severamente lo spaccio, con pene che variano da due a sei anni. La recente approvazione del ddl Sicurezza ha ulteriormente complicato il quadro normativo, imponendo divieti severi sull’importazione, cessione e commercializzazione delle infiorescenze di canapa, comprese quelle a basso contenuto di THC, come la cannabis light.

Ferrigo sottolinea come il governo, nonostante le indicazioni della Corte di giustizia europea che limitano le restrizioni sulla canapa industriale, continui a mettere in atto politiche di sopruso. Il ddl in discussione non solo compromette il termine di regole più chiare, ma ha anche rischiato di distruggere un mercato emergente che rappresentava un’ottima occasione per il made in Italy e potenzialmente vantaggioso dal punto di vista sanitario per i pazienti in cerca di cure alternative.

Il libro di Ferrigo mostra bene come la normalizzazione dei processi di produzione e vendita avrebbe potuto portare a una rivoluzione positiva. Invece, è stato creato un ambiente di incertezza che spaventa gli investitori e influisce negativamente sui pazienti. Costringere i medici a lavorare con standard restrittivi mette in discussione l’efficacia delle cure disponibili. Un diritto fondamentale, quello alla salute, spesso calpestato da leggi obsolete.

I numeri del proibizionismo: carceri sovraffollate e opportunità mancate

È allarmante il dato secondo cui il 35% dei detenuti italiani sono imprigionati per reati legati alla droga, un numero che è il doppio della media europea. Ferrigo mette in risalto il profilo delle vittime di questa legislazione: spacciatori di strada e giovani in difficoltà, spesso senza avvocato, finiscono nelle maglie di un sistema che non considera le loro storie. Questo fenomeno contribuisce al sovraffollamento carcerario, che potrebbe essere mitigato se una parte di questi individui non fosse ostaggio di una legislazione punitiva.

In diversi paesi, dalla Spagna ai Paesi Bassi, approcci tolleranti e liberali sul tema cannabis hanno portato a risultati positivi. La Germania permette la coltivazione domestica e la partecipazione a club di cannabis, mentre in Portogallo la depenalizzazione ha favorito programmi di rieducazione. Negli Stati Uniti, il dibattito ha portato a una transizione verso l’accettazione, con il consumo di marijuana che supera quello del tabacco.

L’Italia, al contrario, rimane intrappolata in un paradigma obsoleto, dove la cannabis è vista ancora come un nemico pubblico. Le continue battaglie legali e le ingenti risorse spese nel contrasto al consumo non portano solo malessere sociale, ma ostacolano anche eventuali soluzioni pratiche, come la bonifica dei terreni contaminati, progetto che prevedeva l’uso della canapa per ridurre i danni ambientali.

Il dibattito sull’uso e sulla legalizzazione della cannabis, sotto il foco della lente scientifica e sociale, è destinato a rimanere attuale, mentre il paese naviga in un mare di contraddizioni che sembra non volersi risolvere.